Masserie e Jazzi
Il Patrimonio Rurale
I continui mutamenti morfologici che si sono susseguiti nel tempo hanno generato un particolare contesto ambientale in cui le attività umane (sociali, culturali ed economiche) e le caratteristiche fisiche si esprimono attraverso una indubbia coerenza e interdipendenza. A tutt’oggi, nonostante gli interventi a forte impatto ambientale come gli spietramenti, la messa a coltura dei pascoli degradati e il disboscamento, l’area dell’Alta Murgia è caratterizzata da una propria inconfondibile identità paesaggistica e territoriale.
Tra il IX e il XIV secolo l’alta Murgia si arricchisce di chiese rupestri (tra le più importanti S. Michele delle Grotte e Madonna della Stella) e di cappelle, adornate da pitture e da affreschi di notevole valore artistico (Jesce, Fornello, Pisciulo), ad opera di monaci basiliani, di eremiti e di anacoreti che si stanziarono in quell’area, dando vita a quella straordinaria e ricchissima civiltà rupestre che segnò la Murgia lungo le lame, le gravine e i solchi torrentizi.
Durante il lungo periodo della dominazione straniera, dai Normanni agli Aragonesi, furono realizzate delle opere prestigiose, quali Castel del Monte, il Castello del Garagnone e il Castello di Gravina, unitamente a numerose masserie e aratie regie (Fornello, Viglione, Sava) che divennero degli elementi fondamentali dell’organizzazione del mondo rurale.
Queste ultime erano di proprietà dello Stato o dei feudatari e vi si svolgevano colture di cereali, allevamenti di equini, bovini e ovini con relativi pascoli. Successivamente, tra l’XI e il XVI secolo furono realizzati diversi casali e villaggi rurali, a volte organizzati in masserie.
Il susseguente e progressivo sfaldamento del sistema feudale che si può considerare concluso alla fine dell’ottocento, apportò una trasformazione socio-economica macroscopica dell’area.
Le grandi estensioni di terreno in precedenza di proprietà di pochi, si polverizzarono in piccole proprietà; decine di chilometri di muretti a secco, fitte e specchie ne delimitavano i confini. Si moltiplicarono strade, sentieri e mulattiere di servizio; nuove casedde, lamie e trulli presidiavano le quote delle ripartizioni demaniali. Ad iniziare dal 1950, anno della Riforma Agraria, sorsero molti villaggi dell’Ente Riforma.
Tornando indietro nel tempo, si ricorda quella importante vicenda storica per le genti e l’economia dell’area che era la transumanza, e per la quale la “Dogana delle pecore di Puglia” provvide, anche per motivi di sicurezza, alla realizzazione di una rete di vie erbose attrezzate con posti di sosta, peschiere e piscine. Tratturi, tratturelli e bracci di collegamento per agevolare il trasporto fisico interessavano in parte terreni fiscali e, in parte, costituivano una sorta di “servitù anomala in pro dei locati per il passaggio di andata e ritorno sulle terre” a pascolo dei comuni, dei privati e dei feudatari.
La viabilità doganale era costituita da tre principali tratturi: il Regio Tratturo n° 21 che, -lungo142 km e ricalcante la Via Appia, attraversava il comprensorio per tutto il lato Sud-Ovest/Sud-Est da Melfi a Castellaneta; il Regio Tratturello n° 19 che, partendo da Canosa, passava per i territori di Andria, Corato e terminava a Ruvo; il Regio Tratturo n° 18 (Barletta-Grumo) che delimitavano il territorio da Nord-Ovest a Nord-Est congiungendo Barletta con Grumo. Inoltre, il Tratturello n° 68, che portava da Corato a Fontana d’Ogna, intersecava trasversalmente le tre vie citate; mentre il braccio n° 20 (Canosa-Montecarafa) e il Tratturello n° 67 (Montecarafa-Minervino) si addentravano in direzione Nord-Ovest nei territori di Minervino e del Garagnone. A valle delle lame, che d’inverno si trasformavano in ruscelli, neviere, piscine e pozzi raccoglievano le acque reflue. Parietoni e specchie segnavano i confini tra le università e tra i feudi; i pagliarisoddisfacevano le diverse funzioni minori.
Ad iniziare dal secolo XV, nei territori della Dogana iniziò la messa in opera di strutture mirate al miglioramento e alla protezione delle varie attività; tali opere erano le locazioni e i riposi.
Al loro interno sorsero le poste con la funzione di proteggere gli armenti. Esposte a sud, esse difendevano gli animali dai freddi invernali e dalla tramontana (Posta Taddoi, di Gioia, Spagnoletti, Pozzacchera, S.Leonardo, Sei Carri, Due Carri, di Grotte, di Grotte piccolo, Pedale, Peragine, Parco della Murgia, le due Poste Corsi).
Nei territori di Gravina, Garagnone e Altamura sorsero gli jazzi. Queste strutture erano posizionate come le poste, ossia esposte a mezzogiorno e in pendenza, spesso costruite nelle zone più interne per nascondersi meglio da eventuali aggressori. Inoltre, tali strutture destinate all’allevamento ovino, non dipendevano dalla giurisdizione doganale.
Gli jazzi ancora oggi segnano il territorio dell’area (Jazzo Civile, del Termine; della Ficocchia, Chieffi, La Sentinella, S.Chiara; Jazzo Lama di Nervi, del Corvo; Jazzo S.Angelo, Jazzone, Pisciulo; Jazzo Sant’Elia, Del Corvo; Finocchio della Murgia, Del Purgatorio, Lama di figlia, Jazzo Attavuccio, Madama); essi erano costituiti da abitazioni per gli operatori, da un camino per la lavorazione del latte e da stalle (lamioni). Quasi sempre gli jazzi erano dotati di un mungituroche consisteva in una piccola costruzione quadrangolare con due aperture contrapposte e comunicanti fra di loro, ognuna con un recinto esterno circolare.
L’istituzione, nel XV secolo, della Regia Dogana della Mena delle Pecore (Alfonso V d’Aragona, 1443) comportò una crescente articolazione delle attività agricole e pastorali con la realizzazione di numerose strutture e manufatti: masserie, jazzi, poste e collegamenti vari che, con le continue modificazioni e ampliamenti, sono tutt’oggi operanti.
La Dogana aveva interesse nel mantenere a pascolo la maggior superficie possibile. All’uopo le masserie che dal XV al XVII secolo assunsero varie denominazioni come “masserie di portata” al principio, e in seguito “di corte” (Corte li Rizzi), “nuove” (Masserie nuove Tarantini, Masserie nuove Cimadoro) e “fiscali” (Masseria Fiscale), erano severamente controllate per numero e per estensione. Variavano per dimensioni, per composizione e per funzioni. In genere non mancava una chiesetta per i riti e le feste religiose, per evitare l’allontanamento dai campi dei contadini.
Le masserie maggiori, nel periodo che va dal XVI al XVII secolo, assumevano l’aspetto di piccole fortezze con mura di cinta (Masserie Martucci e Barone), torri merlate e caditoi; tali strutture difensive venivano realizzate in un secondo momento, anche se bisogna rilevare qualche eccezione (Casal Sabini). Dal XIX secolo fino alla metà del secolo scorso molte masserie furono dotate del casino padronale, a volte separato e a volte costruito in sopraelevazione alle strutture già esistenti (Casino De Angelis).
Tra gli altri elementi costitutivi la masseria bisogna annoverare l’aia, le stalle, il deposito degli strumenti e delle sementi e lo staturo in cui veniva depositato il letame. Vi erano, inoltre, piccole porzioni di spazi per la coltivazione di ortaggi e per gli alberi da frutto. Non mancava l’occorrente per l’apicoltura e per tutto quello che poteva servire alla vita quotidiana dei massari, compresi alcuni ingegnosi accorgimenti per il reperimento e la conservazione delle risorse idriche (Masseria Barone, Malerba, Fumetti, De Mari, Losurdo, Castello, Pisciulo, Sgarrone, Jesce; Masseria Santa Chiara, Gramegna, Franco, La Marinella; Casino Persio; Masseria Polisciazzo, Anna Menonna, Calderoni, Viti, San Giovanni, Moscatella; Masseria Madonna dell’Assunta, Lago Cupo, Santa Teresa; Caselli di Cristo, Censo, Cenzovito, Taglianaso, Chinunno, Curto Maiuro; Masseria Ferratella, Notar Vincenzo, Di Coppe; Masseria Melodia, Garagnone, Senarico, Taverna Nuova, Grottellini; Masseria Torre Disperata, Torre di Nebbia, Giungata,; Masseria Penna Bianca, Coleti, Iambrenghi).
Il mutare delle attività produttive in agricoltura la diffusione delle tecnologie moderne (meccanizzazione e ciclicità dei lavori agrari, riduzione degli allevamenti) e le diverse condizioni sociali hanno mutato profondamente il ruolo delle masserie e il loro utilizzo: alcune delle splendide masserie presenti sul territorio dell’Alta Murgia risultano abbandonate; altre sono divenute appoggi occasionali nei momenti più operativi del ciclo agrario; altre proseguono la tradizione della zootecnia e della cerealicoltura; pochissime sono state valorizzate e sono oggi divenute aziende agrituristiche o trattorie tipiche. Esse, comunque, rappresentano per il paesaggio e l’ambiente in senso lato della Murgia un patrimonio di inestimabile valore, specie in chiave di sviluppo sostenibile per il futuro dell’area.
Infine, è importante ricordare che il territorio comunale di Gravina è compreso nell’elenco degli habitat rupestri predisposto dal Piano di Sviluppo della Regione Puglia del 1982. L’area, infatti, vanta un patrimonio di grotte e anfratti scavati nel tufo e nelle rocce in cui per secoli visse il popolo delle caverne.
(fonte: GalMurgiaPiu.it - foto: luciano pignataro.it)
Link utili:
- Parco Nazionale dell’Alta Murgia | Sito Ufficiale